The Rolling Stones: Beggars Banquet (Decca, 1968)

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Curioso come la più che meritata fama del brano sia negli anni stata offuscata dalla nota querelle stando alla quale il vero autore del brano sarebbe il bassista Bill Wyman e non Keith Richards; la polemica si è protratta per venticinque anni finché nel 1993 Wyman, stanco per le continue “appropriazioni indebite” perpetrate dalla coppia Jagger-Richards ai danni degli altri membri e della ridicola pantomima alla quale il gruppo era ormai ridotto, se ne andò sbattendo la porta. Non sembra superfluo ricordare come analoghi problemi in fatto di appropriazioni indebite della premiata ditta Jagger-Richards ebbero anche Brian Jones e Mick Taylor; con risvolti drammatici, nel caso di Jones.

Venendo a Beggars Banquet, sul versante dei riff da antologia jones jaggersono anche da segnalarsi due classici del calibro di Street Fighting Man e della già citata Stray Cat Blues.

La prima, ispirata ai disordini del ’68 (così come in linea di massima l’intero LP), beneficia di un giro assai essenziale di chitarra acustica bizzarramente satura; lo stesso Keith Richards, nel corso degli anni, ebbe modo di spiegare a più riprese quale fosse il “trucco” su cui quel tipo di suono si basava: la registrazione della traccia-base di chitarra avvenne su un’audiocassetta attraverso un comune mangianastri Philips – per forza di cose su unico canale – per cui la distorsione derivò in modo assolutamente naturale dall’assenza dei filtri e dei limitatori che entrano usualmente in gioco durante le registrazioni di studio attraverso il mixer e le varie piastre di incisione.

Il nastro venne poi trasportato pari pari nella registrazione, con gli altri strumenti che vennero sovraincisi, e il gioco fu fatto. Da notare, in coda, la singolare appropriatezza dell’assolo suonato con lo Shehnai, uno strumento a fiato indiano, rispetto all’impianto musicale complessivo del brano; trovata da accreditarsi al solito Brian Jones, che peraltro arricchisce il brano suonando il sitar e il tambura, due strumenti a corda orientali – probabilmente l’ultimo guizzo di un genio che avrebbe meritato ben altri spazi e tutt’altra sorte.