I Rolling Stones sono sempre stati considerati,
Tale assunto, che a opinione di chi scrive si premette essere del tutto infondato, si presenta in realtà come la classica mezza verità: le esibizioni degli Stones sono state a suo tempo senz’altro caratterizzate da un selvaggio appeal, ma solamente nel primo decennio di vita del gruppo. Già dalla seconda metà degli anni ’60, anzi, complice l’abbondante uso di alcolici e stupefacenti ma soprattutto per via della somma incompetenza strumentale dei membri del gruppo, le esibizioni dal vivo dei cinque avevano preso ad assumere un piglio irreversibilmente arrancante e sfiatato: prova ne sia il fatto che in mezzo secolo di carriera il gruppo non è riuscito a consegnare alla leggenda neppure una registrazione dal vivo che riuscisse a rendere almeno giustizia al livello delle versioni di studio dei brani, e i bootlegs in circolazione non fanno altro che testimoniare in modo ancor più evidente la carenza.
Peggio che andar di notte se si considerano le esibizioni successive al 1971. A quel punto, infatti, gli Stones ritennero di cristallizzare definitivamente il loro status non solo disco graficamente, ma anche per quanto concerneva le esibizioni dal vivo: si è così approdati, con l’andare dei decenni, a spettacoli in cui ogni singolo saltello di Mick Jagger risulta essere rigorosamente programmato e codificato a seconda del pezzo, fino all’abisso delle involontarie autoparodie rese dalle tournées degli anni ’80 e ’90 – si veda su tutte il DVD Live At The Max del 1991 – in epilogo delle quali persino il bassista Bill Wyman, schifato dall’infimo livello raggiunto, decise di gettare la spugna e mollare la baracca per provare a salvare il residuo di dignità che ancora albergava dietro la ragione sociale del gruppo.
Venendo al punto della prima testimonianza discografica live degli Stones, occorre preliminarmente ricordare come la critica, per ragioni misteriose, si è sempre preoccupata di stroncare impietosamente Got live if you want it! preferendogli il successivo Get Yer Ya-Ya’s Out!, nonostante quest’ultimo risulti assai discutibile sotto vari aspetti. Resta il fatto, ad ogni modo, che ovunque si legga qualcosa in merito alla prima documentazione live ufficiale degli Stones sembra quasi che si parli di un crimine contro l’umanità.
C’è poi da dire che, retrospettivamente, Got live if you want it! è il live in assoluto più sporco e aggressivo della carriera discografica del gruppo: sembra peraltro il minimo che si possa pretendere da un gruppo come gli Stones, per cui si deve concludere che coloro – e sono in molti! – che criticano questo live prendendo a pretesto la scarsa pulizia di esecuzione e le sonorità troppo grezze, non devono aver capito troppo bene quello che i Rolling Stones significano e del perché abbiano pesato così tanto nella storia del rock.
La carica di ogni pezzo riproposto, nessuno escluso, è incrementata almeno di un buon 30 per cento rispetto alle (spesso già energiche) versioni di studio, e la voce di Jagger si pone con una aggressività non comune, la stessa che purtroppo non ritroverà nelle successive prove discografiche dal vivo. Particolarmente incandescenti sono le esecuzioni di Under My Thumb, Get Off Of My Cloud, The Last Time, 19th Nervous Breakdown e dell’immancabile (I Can’t Get No) Satisfaction. Finanche quella solenne cavolata che è Have You Seen Your Mother, Baby…, pubblicata solo su 45 giri e della quale si parlerà nella recensione di Between The Buttons, acquisisce un suo perchè nella resa dal vivo; al punto che per una volta gli ascoltatori più ben disposti potrebbero persino riuscire a farsela scendere senza dover necessariamente ricorrere all’assunzione di un farmaco antispastico.
A voler andare a cercare il pelo, c’è da dire comunque
Di buon livello (nonostante poco calzanti con l’attitudine del gruppo…) anche le due immancabili cover, I’ve Been Loving You Too Long di Otis Redding – di cui Jagger era fan accanito – e Fortune Teller di Naomi Neville: quest’ultima ha un andamento peculiare e rimarchevole: in quanto a qualità, per dire, ha ben poco da invidiare alla più energica versione proposta dagli Who nel loro Live At Leeds del ’71. Varie, indiscrezioni tramandano come questi due rifacimenti non facciano parte dell’esibizione alla Royal Albert Hall del ’66 da cui è tratto l’LP, ma siano in realtà due vecchi scarti di studio riproposti con le urla del pubblico sovraincise ad hoc. Tutto vero al 100% e basta procurarsi le versioni in studio delle suddette cover – utilizzate come specchietti per le allodole nella raccolta More Hot Rocks (Big Hits & Fazed Cookies) – per rendersene conto.
Per chiudere, le ballads: Time Is On My Side e Lady Jane vengono riproposte dal vivo in maniera calda ed intensa, senza manierismi, dando l’immagine di un gruppo alle soglie della maturità musicale e assolutamente padrone del palco durante le esibizioni dal vivo.
Per inciso e in conclusione, sarebbe del tutto fuori luogo fare dei paragoni tra Got live if you want it! e le prove dal vivo dei più grandi gruppi da palcoscenico che sarebbero venuti nel decennio successivo. Ciò non toglie, ad ogni modo, che si tratti di un prodotto decisamente più che buono, tanto dal punto di vista dell’energia sprigionata quanto dalla resa ottimale raggiunta dai pezzi in queste versioni dal vivo.
Tracklist:
2. Get Off of My Cloud
3. Lady Jane
4. Not Fade Away
5. I’ve Been Loving You Too Long
6. Fortune Teller
7. The Last Time
8. 19th Nervous Breakdown
9. Time Is on My Side
10. I’m Alright
11. Have You Seen Your Mother, Baby, Standing in the Shadow?
12. “(I Can’t Get No) Satisfaction