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Archivi mensili: febbraio 2011

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Che Hermann sia il nuovo album dei Paolo Benvegnù, è assodato. Il riverbero associato alla sua uscita è degno del grande artista quale è Paolo e quali sono i musicisti che con lui formano questa band. Un disco che è andato a ruba nei negozi, sia in preordinazione che alla data di uscita ufficiale. E che si sta posizionando fra le prime posizioni della Top 10 FNAC (nel momento in cui vi scriviamo è secondo, ma siamo pronti a scommettere che entro il fine settimana raggiungerà il gradino più alto del podio).

Quello che però bisogna scoprire e capire bene, è cosa sia esattamente Hermann. O meglio ancora…chi!

Già, perché definire Hermann semplicemente un album è riduttivo ed errato. Riduttivo, perché in pieno stile Benvegnù ogni canzone è un flusso di emozioni e sentimenti ventrali, che affluiscono dallo stomaco al cuore, e che passando dalla mente portano a un profondo grado di riflessione. Ed errato, in quanto Hermann è qualcosa di più…è un essere etereo ma reale…dai contorni ben visibili.

A noi piace immaginare Hermann come un distinto signore, dall’incedere segnato dal tempo ed accompagnato da un bastone nodoso. Il viso scavato dalla ricerca continua, ma capace di trasmettere tutti i sentimenti: dalla paura all’amore…

Ecco, questo è Hermann. Un uomo di ritorno da un lungo viaggio attraverso le ere, le persone, le convinzioni, i problemi, le paure… e i sogni dell’uomo.

Ascoltando parlare Hermann attraverso le tredici tracce del disco, si respira a pieno non solo il Benvegnù cantautore. Ma anche i progressi e l’apporto di un gruppo coeso e capace di assegnare ad ogni canzone il giusto incidere e le melodie più avvolgenti. Capaci di stupire di brano in brano. Giochi di archi e chitarre che come giochi di luci ed ombre si intrecciano per dar vita ad ogni melodia: “come stelle che si attraggono per esplodere e creare”.

Il Benvegnù del passato si ritrova con Hermann “più maturo”, pronto ad abbandonare le atmosfere intime e personali che lo contraddistinguevano, per passare ad una dimensione più grande e sotto alcuni punti di vista più profonda e nobile: l’uomo. Un bisogno necessario quello dei Benvegnù, di analizzare questo momento storico e ripercorrere dal passato ciò che è veramente l’essere umano, quello che ha perso, che è diventato e ciò di cui non si rende conto. “dove sei? dove siamo? tutti in fila a scegliere uno stile che decide per noi; dominando il nulla il passato non si cancella, ma si doma con la masticazione ed abbiamo dimenticato lo spazio che sta intorno ed il corpo è più vorace di noi”. Così recita una strofa di Good morning, Mr.Monroe! Un pezzo dall’incedere marcato e dai sapori elettronici.

Ed è così che procede Hermann nei suoi racconti, fra atmosfere dettate da affascinanti arpeggi di chitarra, come Il pianeta perfetto e L’invasore (pezzi con cui si apre e termina il disco) e ritmi più accesi e coinvolgenti, come quelli di Moses, Il mare è bellissimo e Love is Talking. Ogni brano rappresenta quasi un tassello di un puzzle del genere umano. Raccontato attraverso i suoi miti e le sue leggende, elementi con i quali i Benvegnù ripercorrono le battaglie e le paure dell’uomo stesso. Uomo inteso in tutte le sue accezioni e in cui la donna trova il suo punto focale in Andromeda Maria. Brano dedicato alla sua creativa e alla possibilità creativa di quella parte femminile che risiede nel genere umano.

Ma Hermann è anche un attento osservatore, che narra fra le strofe di Io ho visto, le sfumature di un sogno contorto che risiede ormai da troppo tempo nelle mani dell’uomo..

Tutto questo e molto più è Hermann. Un lavoro che seduce e porta a riascoltarlo in rotazione continua. Da metabolizzare probabilmente un po’ per chi si imbatte la prima volta nei Benvegnù. Ma capace di regalare davvero intense emozioni.

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Premessa: a parere di chi scrive, un gruppo che a 18 anni dall’uscita del primo disco riesce ancora a stupire praticamente tutti (nel bene e nel male), ha già vinto in partenza.

Chi conosce i Radiohead sa che non si sono mai seduti sugli allori: un decennio (gli anni ’90) trascorso come icone del rock alternativo, con dischi a scalare le classifiche e video in perenne rotazione in tv; quello seguente (“gli anni zero”) rifugiati volontariamente nei panni di band di nicchia, acclamata dalla critica e poco digeribile al grande pubblico, per potersi permettere di creare a proprio piacimento una musica sempre più sperimentale e indefinibile.

The King Of Limbs giunge all’improvviso, la sua esistenza viene annunciata a soli cinque giorni dall’uscita, che verrà inoltre anticipata di un ulteriore giorno senza nessun preavviso. Una storia simile a quella del precedente In Rainbows (annunciato nel 2007 a dieci giorni dall’uscita), di cui però musicalmente questo disco rappresenta quasi un’antitesi: dopo un album ricco di melodie, chitarre, pezzi orecchiabili (Bodysnatchers poteva addirittura guadagnarsi un posto d’onore in un dj set ballabile) e suoni quasi umani per una band che aveva fatto del binomio alieni/alienazione la sua ragion d’essere, ci ritroviamo fra le mani un’opera spiazzante, inquieta, difficile da decifrare e da descrivere.

Si parte fra le percussioni sbilenche e le pulsazioni ossessive di Bloom, per proseguire sulla stessa scia con il motivetto epilettico reiterato all’infinito di Morning Mr Magpie: un binomio iniziale all’insegna dell’agitazione e della paranoia, nonché dell’approccio ai limiti del dubstep che caratterizza tutto il disco. Dopo di che abbiamo, una di seguito all’altra, il pezzo più orecchiabile e vicino alla forma canzone (Little by Little), e quello più ricercato, Feral, che sembra la registrazione di suoni captati durante una gita nello spazio profondo. Su un’irrequieta base percussiva scandita da una fredda pulsazione, spuntano qua e là stralci di voci, note di synth e giri di basso.

Da qui in poi il disco si fa sempre meno nervoso e più soffuso: le percussioni che accompagnano il singolo Lotus Flower (corredato da un videoclip di Garth Jennings nel quale possiamo ammirare Thom Yorke nelle sue doti di ballerino da strada) sembrano una versione rallentata di quelle di Morning Bell e anche le tematiche sull’oblio recitate dal canto in falsetto risultano simili. Dopo il momento riflessivo di Codex, ballata spoglia e minimale, è la volta della spettrale (a partire dal titolo) Give up the ghost, nella quale spunta addirittura una chitarra acustica a supportare una sorta di dialogo fra il canto di Thom Yorke e un’insistente richiesta di pietà (don’t hurt me) di una voce persa nel nulla.

Il disco si chiude fra i riverberi di Separator, l’unico pezzo in cui sembra di respirare un aria più serena e solare; che si conclude ripetendo le parole “wake me up, wake me up”, come se ci si volesse risvegliare dal brutto e nervoso incubo in cui eravamo stati catapultati dai pezzi precedenti.

The King of Limbs è sicuramente un disco anomalo, difficile da assimilare, senza un pezzo che rimanga davvero impresso, con suoni e ritmi che a tratti appaiono ripetitivi (considerando che il disco dura poco più di 37 minuti) e che in molti punti danno l’impressione di trovarsi più dentro un opera del Yorke solista che non dell’intera band. Questo però non gli impedisce affatto di essere un bel disco, allo stesso tempo etereo e asfissiante, tetro e paranoico, spontaneo ed elegante, pervaso dal fascino di essere inspiegabile e ingiustificabile.

Ancora una volta i Radiohead riescono a sorprendere, a dividere e deludere i loro fan in modi sempre nuovi e, volenti o nolenti, a “costringere” tutti a parlare di loro.

di Roberto Interdonato

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Ci siamo, i Red Hot Chili Peppers sono quasi in fase di rilascio del nuovo album. Come si chiamerà? Ancora è difficile dirlo, dato che il mistero attorno al decimo lavoro in studio della band sembra avvolto nel mistero più totale. Eppure qualche news c’è ed è fresca fresca di qualche giorno fa.

Anthony Kiedis ha rilasciato infatti un’intervista al magazine online Spin.com, in cui ha svelato molti degli altarini che si nascondono dietro il nuovo album. Primo fra tutti quello che, per il momento, sembra potrebbe essere il suo titolo, ovvero: Dr. Johnny Skinz’s Disproportionately Rambunctious Polar Express Machine-head.

Per essere più precisi questo è quello che in genere viene chiamato Working Name, ovvero il nome assegnato dalla band in fase di lavorazione del disco. Non è quindi sicuro che sarà questo il titolo finale. Soprattutto perché sembrerebbe abbastanza complicato da ricordare. Certo, vista la follia dei RHCP, tutto è possibile. Anche un titolo paragonabile alle strofe di un intero pezzo 😉

Ma andiamo per gradi e vediamo di capire meglio cosa ha svelato Anthony ai giornalisti di Spin. “I think that during the writing of this record I have been the most open-minded and refreshed than I have been in a long time” – ha dichiarato Anthony, aggiungendo – “I guess that comes from a much-needed hiatus and becoming a father“.

Traducendo il tutto suona più o meno così: “Penso che durante la realizzazione di questo disco, la mia mente è stata più aperta e fresca che mai. Credo che venga da un periodo di riposo necessario e dal fatto di essere diventato padre.” Ma non è solo su una mente più aperta e una rinnovata voglia di fare che Kiedis ha incentrato il suo discorso.

Ha parlato anche dell’uscita di Frusciante dalla scena dei RHCP, spiegando come questo abbia portato certamente, da un lato, ad una mancanza creativa. E dall’altro a spaziare verso nuovi orizzonti (ad esempio sarà inserito il pianoforte in alcuni pezzi del nuovo album). In più Flea ha ampliato la sua tecnica con alcuni nuovi studi musicali, fra cui rientrano anche quelli di piano. E a sentir Anthony pare che “un gran numero di tracce siano state pensate e pianificate in un modo che mai era stato adottato prima d’ora. Questo grazie anche alle nuove conoscenze teoriche di Flea, che hanno consentito di realizzare brani con una precisione maggiore.

E giungiamo infine alla domanda fatidica. Perché Dr. Johnny Skinz’s Disproportionately Rambunctious Polar Express Machine-head? Questo titolo sembra sia scaturito dall’idea di un amico dei RHCP passato un giorno dalla sala prove. In quell’occasione l’amico stava ricordando uno dei suoi leggendari acid trips e da quegli strani aneddoti ecco scaturire Dr. Johnny Skinz’s Disproportionately Rambunctious Polar Express Machine-head. A volte il caso…può essere un elemento fondamentale 😉

Concludiamo ricordandovi che l’uscita dell’album è prevista per la fine di marzo (qui trovate qualche chiarimento su altri particolari: Red Hot Chili Peppers, nuovo album a marzo 2011: l’anteprima). E considerando che in una sua iniziativa benefica su Twitter Flea ha inviato 10 copie del nuovo CD autografate direttamente ai fan, sembra che manchi davvero poco al rilascio di Dr. Johnny Skinz’s Disproportionately Rambunctious Polar Express Machine-head e, perché no, di un singolo estratto.

Non resta che attendere ancora qualche settimana.. Stay tuned!

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È Prodotto Interno Lurido il nuovo singolo dei Subsonica. Dopo l’uscita di Eden, Istrice e Il Diluvio la carrellata di brani estratti dal nuovo album Eden non accenna a fermarsi. Ed ecco arrivare una canzone pronta a far discutere di se, con all’interno tutta l’irriverenza di Samuel e compagni.

Già dal titolo, Prodotto Interno Lurido è facile capire il gioco di parole che i Subsonica hanno voluto creare con il PIL (Prodotto Interno Lordo). Ma non è di bilanci monetari che si parla il questo nuovo singolo. Bensì di altri conti.

Ed è lo stesso ritornello della canzone a far capire gioco di parole e senso del pezzo: “Libera l’Italia subito dal prodotto interno lurido”.

Un testo che sembra andare a ricalcare in pieno i temi di attualità che attanagliano l’Italia in questi ultimi mesi. Una scossa che la band vuole trasmettere ai suoi fan e non, per svegliarli da una sorta di letargo in cui tutti sembrano capire che qualcosa non va.. ma in cui pochi si adoperano veramente per dare una svolta alla situazione.

Ecco quanto apparso qualche giorno fa sul loro sito ufficiale, a riguardo della canzone Prodotto Interno Lurido:

Si tratta di un brano che parla dell’Italia di oggi: il nostro Eden da riconquistare. Occorrerebbe liberarlo prima ancora che da questo o da quell’esponente politico, dalle tossine di una patologia culturale che ha contagiato tutti i settori della nostra esistenza. – e continuano dicendo – Linguaggio, costume, condivisione, immaginazione, reale valore delle cose, appartenenza. La realtà di questi anni ci ha privati di troppe cose.

Vi lasciamo ora al brano Prodotto Interno Lurido e a seguire al testo. Buon ascolto.

Subsonica – Prodotto Interno Lurido

Ora il bosco è buio che cosa fai?
hai cercato i lupi ma cosa fai
ora che si allungano su di noi
le ombre cinesi…

Mentre accendi il mutuo all’oscurità
I piani tariffari all’ eternità
le lotterie e i sorrisi d’immunità
sono ombre cinesi…

Libera la testa subito dal prodotto interno lurido
libera la testa subito dal prodotto interno lurido lurido…
libera la testa subito dal prodotto interno lurido…

Libera l’Italia subito dal prodotto interno lurido lurido

Hai giocato facile fino a qua
dentro un paradiso gonfiabile
di ombre cinesi…

Libera la testa subito, dal prodotto interno lurido…
libera la testa subito, dal prodotto interno lurido lurido…

Libera l’Italia subito, dal prodotto interno lurido
libera l’Italia subito, dal prodotto interno lurido lurido…

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Il Diluvio è in arrivo! Questo l’annuncio dei Subsonica per il loro terzo singolo. Un brano che giunge dopo i primi due brani: Eden e Istrice.

E se i fan del gruppo sono rimasti un po’ spiazzati dai due singoli iniziali, ecco giungere un pezzo ben ritmato e in pieno stile Subsonica. Sono infatti gli stessi Samuel e soci a far conoscere l’intenzione di sfornare una canzone da ballare fino allo sfinimento. O meglio, le parole precise sono “ideale per chi ha ritenuto “istrice” troppo delicata e non funzionale ad una degna pezzatura di ascella sotto il palco”. Ecco quanto dichiarato sul sito ufficiale del gruppo:

senza distrarci dall’imminente video – de paura- di “istrice”, segnaliamo che da venerdì sarà disponibile su I-tunes, un brano di anticipazione del nuovo album. E non sarà l’ultimo. “Il diluvio”, ideale per chi ha ritenuto “istrice” troppo delicata e non funzionale ad una degna pezzatura di ascella sotto il palco, è un brano da volume alto, che prosegue il percorso dei brani più drum ‘n bass (quella roba che piace tanto a ninja e max). – e continuano dicendo – “Nel testo diluvio è la metafora degli eventi attraverso i quali “nulla resta più come prima”: lo sbocciare di una coscienza sociale, la perdita della verginità. Tra reminiscenze e la descrizione di una generazione che torna oggi nelle strade a reclamare un presente diverso. Volete provare a immaginarvela?…ok

Inutile spendere ulteriori parole. Vi lasciamo al brano: Il Diluvio e a seguire al testo. Buon ascolto.

Subsonica – Il Diluvio

Sei stata l’ ondata perfetta, per infrangerti contro di me
e a
desso che tutto è sommerso, che cosa resta e perchè?
Sei stata un’ondata violenta, per aprirti qui dentro di me
e adesso che tutto è diverso questo silenzio cos’è?

Una festa infestava la mia testa
mentre lei rotolava nella cesta
della rivoluzione, della sbronza
tra le voci calde della protesta

Mi sentivo un veliero nel tuo letto
ma per te io non ero che un insetto
un giocattolo d’indifferenza
dimmi quanto vale la mia verginità

Giù la piazza accendeva la tempesta
quel diluvio di ogni adolescenza
un uragano un ammutinamento
contro la ginnastica dell’obbedienza

Samurai senza pace senza guerra
nell’ elastico dei sentimenti tuoi
c’era il disordine dell’innocenza
nell’adrenalina delle mie verità

Sei stata l’ ondata perfetta, per infrangerti contro di me
e adesso che tutto è sommerso, che cosa resta e perchè?
Sei stata un’ondata violenta, per aprirti qui dentro di me
e adesso che tutto è diverso questo silenzio cos’è?

La chiglia si incaglia nella voglia di te
che travolgevi tutto senza tanti perché
che eri come un tuffo dove il mare è più blu
e io ero il tuo prossimo relitto

Le sciarpe al collo e tutta la carnalità
in quel corteo le prime libertà
ti consegnavo l’ingenuità
quante volte mi hai rubato la verginità

sei stata l’ondata perfetta / e io ero il tuo prossimo relitto
sei stata l’ondata perfetta / quante volte mi hai rubato la verginità

Sei stata l’ ondata perfetta, per infrangerti contro di me
e adesso che tutto è sommerso, che cosa resta e perchè?

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È Roberto Vecchioni il vincitore della 61-esima edizione del Festival di Sanremo. Il cantautore milanese, con la sua canzone Chiamami ancora amore fa una vera e propria incetta di preferenze.

Non solo, infatti, Vecchioni vince al televoto nell’ultima sessione del Festival (quando a giocarsi il tutto per tutto erano rimasti lui, Al Bano e i Modà con Emma), ma si accaparra anche la preferenza della stampa e il premio della critica. Il Golden Share, preferenza assegnata dalla giuria dei giornalisti e capace di far saltare in avanti di ben 3 posizioni il beneficiario, indica Vecchioni come vincitore. Ed essendo il cantautore già di per sé nel parterre dei tre finalisti, nulla è cambiato nel terzetto che si è giocato poi la vittoria nella fase finale del Festival.

È dunque così che Vecchioni conquista uno dei premi più importanti, quello della Critica intitolato a Mia Martini. Il riconoscimento, che come ribadiamo è attribuito in funzione dei voti delle testate accreditate al Festival di Sanremo (nella Sala Stampa del Teatro Ariston), ha visto Roberto Vecchioni primo con ben cinquantadue preferenze su centotredici votanti (cinque schede nulle), staccando i secondi La Crus fermi a ventidue voti.

Un Festival che in definitiva non sembra aver portato con se troppe polemiche come negli anni passati. Ma che certamente, come ogni manifestazione canora a votazioni, farà discutere di se per ancora qualche giorno.

Vecchioni, che quasi non voleva nemmeno partecipare al Festival (convinto quasi a forza, sembrerebbe, da Morandi) ha tirato fuori dal cilindro un brano pienamente nel suo stile. Una prosa in musica che sa raccontare emozioni attuali. E che per questo sembra aver rapito il consenso unanime delle differenti giurie. Ricordiamo, infine, che Vecchioni  è tornato al Festival di Sanremo dopo ben 38 anni. La sua ultima presenza alla manifestazione canora, infatti, risale 1973; quando interpretò L’uomo che si gioca il cielo a dadi con la quale si classificò all’ottavo posto (e che trovate in coda a questo post).

E voi, cosa ne pensate? Rimasti contenti dell’esito? Avreste preferito una classifica differente?

Di seguito il video della canzone di Roberto Vecchioni Chiamami ancora amore e il testo.


Roberto Vecchioni – Chiamami ancora amore

E per la barca che è volata in cielo
che i bimbi ancora stavano a giocare
che gli avrei regalato il mare intero
pur di vedermeli arrivare

Per il poeta che non può cantare
per l’operaio che non ha più il suo lavoro
per chi ha vent’anni e se ne sta a morire
in un deserto come in un porcile
e per tutti i ragazzi e le ragazze
che difendono un libro, un libro vero
così belli a gridare nelle piazze
perché stanno uccidendo il pensiero

per il bastardo che sta sempre al sole
per il vigliacco che nasconde il cuore
per la nostra memoria gettata al vento
da questi signori del dolore

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e di parole

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
anche restasse un solo uomo

Chiamami ancora amore..
Chiamami ancora amore..
Chiamami sempre amore..

Perché le idee sono come farfalle
che non puoi togliergli le ali
perché le idee sono come le stelle
che non le spengono i temporali
perché le idee sono voci di madre
che credevano di avere perso
e sono come il sorriso di Dio
in questo sputo di universo

Chiamami ancora amore..
Chiamami sempre amore..
Che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e parole

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Continua a scrivere la vita
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
che è così vera in ogni uomo

Chiamami ancora amore..
Chiamami ancora amore..
Chiamami sempre amore..
Chiamami ancora amore..
Chiamami sempre amore..

Che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e parole

Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
tra il silenzio e il tuono
difendi questa umanità
…anche restasse un solo uomo

Chiamami ancora amore..
Chiamami ancora amore..
Chiamami sempre amore..
Perché noi siamo amore..

Roberto Vecchioni  – L’uomo che si gioca il cielo a dadi

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Si chiama Al Guinzaglio ed è il nuovo singolo dei Marta sui Tubi che anticipa il prossimo album in uscita Carne con gli occhi.

Molti sono i fan che attendevano con ansia un segno del gruppo sul nuovo album. Ed ecco arrivare Al Guinzaglio: un pezzo graffiato, ruvido ed in pieno stile Marta sui Tubi. Un testo studiato, attuale e che lascia trasparire molto di quanto accade in questi ultimi mesi.

Per quanto riguarda il nuovo disco, ricordiamo che Carne con gli occhi è prodotto da Tommaso Colliva, artista che ha già lavorato con band del calibro di: Muse, Calibro 35 e Afterhours. I lavori con Tommaso iniziano nella primavera del 2010 e i primi brani a vedere la luce sono “Coda di Lucertola”, uscito nella compilation “Materiali Resistenti” ed il singolo estivo “Senza Rete”, in rotazione musicale su Radiodue ed Mtv.

Un connubio che dà subito buoni frutti e vede i risultati già nel tour 2010 con lo spettacolo “Arte sui Tubi”. Fra i lavori dei MST non si può non citare anche l’importante apparizione nella seguitissima fiction Romanzo Criminale, con il brano “il Commissario” (presente nella compilation distribuita da EMI e Sorrisi e Canzoni).

Il tutto fino ad arrivare al 15 marzo 2011, data in cui sarà pubblicato Carne con gli occhi. Dal mese successivo (aprile), i Marta sui Tubi apriranno il loro nuovo tour, che li vedrà in giro per locali e pachi italiani per tutto il 2011.

Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito ufficiale dei MST: www.martasuitubi.it.

Vi lasciamo ora al singolo Al Guinzaglio. Buon ascolto.