Sebbene la notizia sembra sia ormai ufficiale, è comunque d’obbligo, in questi casi, andarci coi piedi di piombo. Basti pensare alle peripezie che hanno accompagnato la trasposizione cinematografica de Lo Hobbit di Tolkien: per quasi due anni nelle mani di Guillermo del Toro (Il labirinto del fauno), dopo una breve parentesi nella quale sembrava essere stato affidato a Neill Blomkamp (District 9), è infine tornato fra le braccia di Peter Jackson (produttore e regista della trilogia tolkeniana de Il Signore degli anelli).
Ma torniamo a Ubik. Vista la quantità di romanzi e racconti di Dick già portati sul grande schermo, la domanda è lecita: perché la notizia sta risuonando come se si trattasse di un evento?
Il motivo principale è che stavolta ad essere adattata non sarà un’opera minore, ma uno dei migliori romanzi dello scrittore, nonché uno dei più visionari e lisergici insieme al precedente Le tre stimmate di Palmer Eldritch (1965).
Volendo fare un bilancio delle opere cinematografiche ispirate ufficialmente agli scritti di Dick, è quasi obbligatorio citare il celebre Blade Runner di Ridley Scott (1982) come l’opera più riuscita, annoverata fra i capolavori del genere fantascientifico. Ma nonostante il film riesca a trasmettere bene i punti cardine del pensiero dickiano, l’opera è tratta da un romanzo non del tutto riuscito (Il cacciatore di androidi o anche Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?), la cui trama viene in più punti stravolta e resa mero pretesto per portare avanti la – in ogni caso meravigliosa – messa in scena.
Se Minority Report (2002), buono ma piuttosto edulcorato e poco dickiano nei contenuti, può essere considerato un’occasione
C’è da dire, però, che il romanzo di origine rappresenta un Dick tardo (1977) e, a conti fatti, più autobiografico e premonitore che fantascientifico. Non che questo intacchi il valore finale, ma probabilmente il risultato non rappresenta il più autentico immaginario dell’autore.
Alla luce di quanto detto è normale, negli appassionati del genere, avere sentimenti contrastanti: da un lato le speranze sono ottime, visto che Gondry si è dimostrato regista di altissimo livello e abbastanza visionario da sembrare adatto ad un compito del genere. Dall’altro serpeggia la paura ripensando ai piani di realtà parallela, allo stato di semi-vita, alla regressione temporale, ai continui dubbi che il romanzo suscita fino alla sua conclusione (e oltre) e su quale sia la vera realtà. Tutte situazioni che sembrerebbe difficile portare sul grande schermo senza sacrificare gran parte del fascino.
Non ci resta che attendere sperando che il progetto vada in porto e che a quel punto non ci sia da rimpiangere tale speranza.
Michel Gondry (Se mi lasci ti cancello, L’arte del sogno) dirigerà l’adattamento cinematografico di Ubik, romanzo di Philip K. Dick edito nel 1969.
Sebbene la notizia sembra sia ormai ufficiale, è comunque d’obbligo, in questi casi, andarci coi piedi di piombo. Basti pensare alle peripezie che hanno accompagnato la trasposizione cinematografica de Lo Hobbit di Tolkien: per quasi due anni nelle mani di Guillermo del Toro (Il labirinto del fauno), dopo una breve parentesi nella quale sembrava essere stato affidato a Neill Blomkamp (District 9), è infine tornato fra le braccia di Peter Jackson (produttore e regista della trilogia tolkeniana de Il Signore degli anelli).
Ma torniamo a Ubik. Vista la quantità di romanzi e racconti di Dick già portati sul grande schermo, la domanda è lecita: perché la notizia sta risuonando come se si trattasse di un evento?
Il motivo principale è che stavolta ad essere adattata non sarà un’opera minore, ma uno dei migliori romanzi dello scrittore, nonché uno dei più visionari e lisergici insieme al precedente Le tre stimmate di Palmer Eldritch (1965).
Volendo fare un bilancio delle opere cinematografiche ispirate ufficialmente agli scritti di Dick, è quasi obbligatorio citare il celebre Blade Runner di Ridley Scott (1982) come l’opera più riuscita, annoverata fra i capolavori del genere fantascientifico. Ma nonostante il film riesca a trasmettere bene i punti cardine del pensiero dickiano, l’opera è tratta da un romanzo non del tutto riuscito (Il cacciatore di androidi o anche Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?), la cui trama viene in più punti stravolta e resa mero pretesto per portare avanti la – in ogni caso meravigliosa – messa in scena.
Se Minority Report (2002), buono ma piuttosto edulcorato e poco dickiano nei contenuti, può essere considerato un’occasione persa (specie se si pensa al budget di oltre 100 milioni di dollari e alla prestigiosa regia di Steven Spielberg), un discorso diverso va fatto per Un oscuro scrutare (A scanner darkly) di Richard Linklater. Il film, datato 2006, rappresenta probabilmente la trasposizione con il miglior rapporto “qualità del film/qualità del romanzo”, essendo l’unico (finora) tratto da uno dei capolavori dello scrittore. Il risultato ottenuto, a parere di chi scrive, rasenta l’eccellenza: il cast di alto livello (Keanu Reeves, Winona Ryder, Robert Downey Jr., Woody Harrelson), l’uso della tecnica del rotoscopio (già utilizzata da Linklater in Waking Life) e la fedeltà all’opera originale, ne fanno una perla da rivalutare.
C’è da dire, però, che il romanzo di origine rappresenta un Dick tardo (1977) e, a conti fatti, più autobiografico e premonitore che fantascientifico. Non che questo intacchi il valore finale, ma probabilmente il risultato non rappresenta il più autentico immaginario dell’autore.
Alla luce di quanto detto è normale, negli appassionati del genere, avere sentimenti contrastanti: da un lato le speranze sono ottime, visto che Gondry si è dimostrato regista di altissimo livello e abbastanza visionario da sembrare adatto ad un compito del genere. Dall’altro serpeggia la paura ripensando ai piani di realtà parallela, allo stato di semi-vita, alla regressione temporale, ai continui dubbi che il romanzo suscita fino alla sua conclusione (e oltre) e su quale sia la vera realtà. Tutte situazioni che sembrerebbe difficile portare sul grande schermo senza sacrificare gran parte del fascino.
Non ci resta che attendere sperando che il progetto vada in porto e che a quel punto non ci sia da rimpiangere tale speranza.