Come la lucertola evocata dal loro nome, i Lagartija (“lucertola” in spagnolo, ndr) si muovono sinuosi ed eleganti, fanno capolino tra i generi musicali quasi senza far rumore, senza che l’ascoltatore abbia il tempo di accorgersene. Il disco di cui ci apprestiamo a parlare si intitola Particelle ed è la seconda prova del quintetto piacentino, uscito a dicembre per Lizard Records (inutile precisare come il nome dell’etichetta calzi a pennello), rappresenta il seguito dell’esordio autoprodotto Ricordi? del 2009.
Il disco si apre con lo strumentale Idiosincrasia, nel quale le dolci melodie disegnate dal sassofono vengono intersecate da un drumming nervoso e da cupe svisate di chitarra, a simulare le contraddizioni di una mente paranoica e instabile: probabilmente il pezzo più vicino alla comune concezione attuale di “post-rock”, che porta con se però anche l’eleganza e l’atmosfera quasi mistica dei classici prog e kraut rock degli anni ’70.
La nervosa idiosincrasia iniziale si dirada nel rock lento e ricamato di Myths, dove per la prima volta fa capolino una voce di donna, filtrata, misteriosa, che ci racconta (utilizzando la lingua inglese, per la prima e unica volta all’interno del disco) di forme e sostanze e intime comunioni fra anime gemelle. La seguente L’abbraccio si apre con suoni e ritmiche che si potrebbero definire radioheaddiane, se solo quest’ultimo fosse un aggettivo lontanamente riconducibile alla lingua italiana, lingua che viene usata dalla voce per cantare un breve e criptico testo dedicato ad Andrea Pazienza (Non farmi parlare, ho tante cose ancora da dirti, non mi vergogno delle lacrime, preziose ed improvvise sulle voci che sciolgono).
Dopo le divagazioni prog-jazz dello strumentale Tete, si
Il sound minimale e toccante del piano lo-fi di Sbrisiu ci traghetta verso la title-track Particelle, vera e propria mini-suite di 13 minuti circa: si parte con un prologo progressive, che via via sfocia in un crescendo post rock che fa da base prima alle declamazioni lisergiche di una voce femminile dai toni alieni, e poi alla voce sommessa ma sicura di sé di un uomo che prende atto della sua condizione, che comprende di appartenere pienamente e dolorosamente alla sua terra, di essere esso stesso la sua terra, come altri prima di lui, Guccini, Ferretti, Clementi e tanti altri.
La città è “solo un sogno letterario da vivere in un freddo campo padano”, e fra sax urlanti si giunge a rimirare il “tramonto del rock emiliano”, a godersi l’agrodolce pace ritrovata della conclusiva Emilia Malinconica, fra immagini delicate dal sapore nipponico e un tappeto sonoro che ci conduce al crescendo finale, facendoci intravedere, oltre la siepe, la luce di un nuovo, possibile, inizio.
Particelle è un disco decisamente “ricco”: ricco della poesia dei suoi testi, ricco della sua musica elegante e allo stesso tempo impulsiva, ricco di un pathos autentico, di un sentire intimo che non appare mai eccessivo o artefatto. Da ascoltare e riascoltare, sempre alla ricerca di malinconiche particelle emiliane ancora da scoprire.