Trent’anni di vita editoriale sono un traguardo importante per un fumetto, ancora di più se si tiene conto della crisi dell’industria fumettistica e di tutto ciò che è cartaceo. Tuttavia, la Sergio Bonelli Editore non è nuova a traguardi del genere e così, dopo Tex, Zagor, Mister No e Martin Mystère (spero di non dimenticare nessuno), quest’anno è la volta di Dylan Dog spegnere le 30 candeline. Il primo albo della serie, “L’alba dei morti viventi” di Tiziano Sclavi e Angelo Stano, veniva pubblicato infatti il 26 Settembre del 1986.
Come da tradizione, l’anniversario viene festeggiato con un albo speciale interamente a colori, il numero 361 “Mater Dolorosa” di Roberto Recchioni e Gigi Cavenago, in edicola dal 29 Settembre 2016. Il titolo e (vagamente) il tema dell’albo erano stati annunciati già da tempo dall’autore, il quale è anche il nuovo curatore della testata dal 2013, e “portabandiera” di una vera e propria rivoluzione/rinnovamento del personaggio (di cui vi avevamo già parlato qui: Dylan Dog Fase 2: Ritorno al presente), approvata e incoraggiata dal suo creatore originale Tiziano Sclavi.
Superato l’obbligatorio cappello introduttivo, veniamo al succo dell’articolo:
Una cosa bisogna dirla subito e con estrema sicurezza: i disegni e i colori di Gigi Cavenago per Mater Dolorosa sono strepitosi. Sicuramente (per chi scrive) i migliori mai visti su un Dylan Dog a colori, probabilmente anche fra i migliori in generale. Le pennellate e i colori vivissimi (anche quando cupi e sommessi) di quest’albo avvolgono il lettore in una dimensione onirica e tesissima, senza rinunciare mai ad una perfetta descrizione dei personaggi e della dinamica delle tavole. Il tutto viene condito da alcune splash page che vorremmo vedere davvero più spesso in tutti gli albi Bonelli (rinunciando ai limiti della classica gabbia di vignette) e che meriterebbero davvero di essere esposte come opere a se stanti in qualunque museo.
Ma un albo non è fatto di soli disegni, quindi veniamo alla storia. Gli albi “celebrativi” sono sempre un po’ una spina nel fianco per gli autori: affrontare le origini di un personaggio, o comunque delle sfaccettature del suo carattere e della sua vita che raramente vengono fuori nella serie regolare, è sempre materia delicata. Quando quest’operazione deve essere fatta dopo trent’anni di vita editoriale, dopo altri sei o sette albi celebrativi, trovare davvero qualcosa di speciale da raccontare diventa ancora più complesso.
Le due storie vengono mescolate in maniera sapiente, con la mater morbi che fa la sua comparsa negli incubi del piccolo Dylan, e arriva ad uno scontro tutto al femminile con Morgana per la “tutela” del piccolo Dylan (moderato nel finale da un Dylan in versione Dawson Leery). In tutto questo, abbiamo la ricomparsa del “latitante” John Ghost (più Fassbenderiano che mai nei disegni e colori di Cavenago), il nuovo arcinemico di Dylan, presentato in pompa magna da quasi due anni, ma la cui presenza nella serie regolare è rimasta piuttosto marginale. Anche in questo caso la natura della sua relazione con Dylan, e il suo ruolo nella storia, rimangono poco chiari e dai contorni molto sfumati.
L’impressione è che tutto sia molto più raccontato dall’esperienza
In conclusione, da un certo punto di vista potremmo dire che Mater Dolorosa è un po’ lo Star Wars -Episodio VII di Dylan Dog. L’albo rappresenta il passaggio di consegne narrativo fra le origini di Dylan Dog raccontate da Sclavi e il Dylan/Recchioni di Mater Morbi, i quali vengono fusi insieme in un unico grande incubo. In più, da un punto di vista più prosaico, è una storia che cerca di accontentare vecchi fan e nuovi lettori. Un po’ come il film di J.J. Abrams, Mater Dolorosa finisce per essere in gran parte un remake citazionista abbastanza ammiccante, ponendo allo stesso tempo le basi per la vita futura del personaggio, lasciate però in questa sede solo accennate.