Bag of songs 2012: la classifica delle canzoni più belle dell’anno

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Potevamo noi di PausaCaffè sottrarci al gioco della classifica di fine anno, croce e delizia di ogni appassionato di musica? Potevamo tirarci fuori dalla giostrina dei “ci sono troppi vecchi”, “chi sono questi sconosciuti?”, “non ti può piacere quella roba, ti fai influenzare dalla moda!”, “ma questo è pop mainstream da ragazzette!”, “il disco è proprio così o si è rotto lo stereo?!”? Evidentemente no!

O almeno non del tutto: quella che vi apprestate a leggere, più che una classifica, si potrebbe definire una bag of songs: un insieme disordinato di belle canzoni che hanno accompagnato il 2012 ormai al termine.

Ma ora basta con le chiacchiere e via con la bag, in ordine rigorosamente sparso:

# E’ tornato l’uomo nero  del rock britannico, ma alle cupe atmosfere dark wave di qualche anno fa si accosta un’inedita vena dream pop che crea affascinanti chiaroscuri, come in questa “I know (You Love me)” :

O Children – I know (You Love me)

 

# Di solito le reunion puzzano di bruciato, questa invece ci stordisce con i fumi dell’oppio, e con l’immutata classe cristallina di Brendan Perry e Lisa Gerrard:

Dead Can Dance – Opium

 

# Una delle accuse più comuni che si fanno alle rock band è di prendersi troppo sul serio: gli esordienti Vadoinmessico fugano subito ogni dubbio con questo pezzo esotico con contorno di gorilla:

Vadoinmessico – Pepita Queen of the Animals

 

# Math-pop? Armonie per voci aliene? Singoli da classifica o roba da intellettuali radical chic? Chi lo sa, l’unica cosa certa è che questi ragazzi di Leeds con le facce così pulite e lo sguardo così ingenuo hanno inanellato al primo colpo una serie di pezzi clamorosi, se poi cominciano anche ad “andare di moda” tanto meglio!  Tra le diverse anime del gruppo la nostra scelta ricade sulla vagamente inquietante Fitzpleasure:

Alt-J – Fitzpleasure 

 

# Da elegante crooner del nuovo millennio (vedere il singolo che gli diede il successo, “Coles Corner”), Richard Hawley si è trasformato senza preavviso in alfiere del brit-rock psichedelico. Ben venga la trasformazione, visto che ci regala questo viaggio accecante che ci riporta alle atmosfere dei primissimi Verve:

Richard Hawley – She brings the sunlight

 

# Fino a qualche tempo fa, se avessi visto Mark Lanegan nella classifica di qualcuno sarei stato uno dei primi a dire “ma non ti vergogni a mettere in classifica certi dinosauri? Vedi che siamo nel 2012!”. Bene fino a qualche tempo fa ero decisamente stupido: una bella canzone la si può scrivere a 20 anni come a 70. Nella fattispecie, il buon Mark si rimette parecchio in gioco con suoni sintetici e atmosfere rarefatte, senza paura,  and what is done, is done:

Mark Lanegan – Tiny Grain of Truth –

 

# Considerando quanto sia ormai difficile ascoltare del pop veramente di qualità, a parere di chi scrive resta inspiegabile come un talento come Patrick Watson resti un semi-sconosciuto sia negli ambienti mainstream che in quelli alternativi. Non penso serva aggiungere altro alle note celestiali di questa Lighthouse:

Patrick Watson – Lighthouse

 

# Un’arida pianura, un capanno che brucia sullo sfondo. E’ la scena in cui Patricia Arquette, nuda, si alza e sussurra all’orecchio di Balthazar Getty “Tu non mi avrai…mai”. E in sottofondo parte questa canzone. A dire il vero no, nel film (Lost Highway, ndr) ne parte un’altra (http://youtu.be/Laf8bhSeGNY), ma appena ho ascoltato questa splendida rivisitazione dell’omonimo classico del 1957 non ho potuto fare a meno di pensare a David Lynch:

Flaming Lips featuring Erykah Badu – The First Time Ever I Saw Your Face

 

# Il sedicente ghost rock dei Piano Magic con gli anni si fa sempre più ghost, sempre più cupo, sinistro, minimale. Si gela il sangue nelle vene a sentire la voce di Glen Johnson ripetere che no, la vita con lui non ha ancora finito:

Piano Magic – Life has not finished with me yet

 

 

# Essere sulla cresta dell’onda da quasi 40 anni e non sentirli: vedere alla voce Paul Weller. L’ex leader di Jam e Style Council non sbaglia un colpo, e sentire questa Green in cuffia ad alto volume ha rischiato di far fare una brutta fine a quei quattro neuroni buoni che mi sono rimasti:

Paul WellerGreen

 

# Tornano dopo più di dieci anni i californiani Spain, pionieri dello slowcore e autori di un capolavoro dimenticato come The Blue Moods of Spain (Restless Records, 1995). Qualcuno li accusa di essere per lo più uguali a se stessi, ma se questo significa sfornare una ballata come Falling, bè a noi va benissimo lo stesso:

Spain – Falling

 

# Atmosfere celtiche ed echi del folk rock degli anni d’oro, nella musica di Sam Lee, il folk di gruppi intoccabili quali Pentangle, Fairport Convention e Incredible String Band. Ma incredibilmente (quantomeno dopo una premessa del genere) le sue canzoni non appaiono affatto datate, provare per credere i ricchi arrangiamenti con cui dà nuova vita al traditional “The Ballad of George Collins”:

Sam Lee – The Ballad of George Collins

 

# Saltando “di folk in folk” , nel 2012 Andrew Bird e il suo violino ci hanno regalato ben due album. Anche l’immediatezza è una dote da non sottovalutare, e la fischiettante allegria di Danse Carribe  conquista al primo ascolto e si annida nel cervello per ripresentarsi quando meno te l’aspetti:

Andrew Bird – Danse Carribe

 

# Ci sono ritorni che fanno sempre piacere. Quelli di artisti così immensi che, già lo sai, è veramente difficile che in un album non piazzino almeno un paio di grandi canzoni. Caetano Veloso è sicuramente uno di questi, e il suo “abbraccione” fresco di uscita, fra ritmi cadenzati e assoli acidissimi è uno dei colpi di coda del 2012:

Caetano Veloso – Um Abraçaço

 

# Jason Spaceman, è difficile perdonarti per aver bidonato l’Ypsigrock Festival 2011. Il fatto che tu abbia tirato fuori una cavalcata rock di oltre 8 minuti con echi di krautrock, country e chissà cos’altro, corredata per altro da un video che è un cortometraggio vero e proprio, è sicuramente un passo avanti per ottenere il nostro perdono!

SpiritualizedHey Jane

 

# La parabola dell’indie-pop : da oggetto misterioso a genere del momento, fino ad essere uno di quei generi così inflazionati da scatenare odio e indifferenza al solo sentirli nominare. La verità è che, come in tante altre cose, l’indie-pop basta saperlo fare. E questa deliziosa gemma adolescenzial-Smithsiana dei brittanici The Heartbreaks è qui a dimostrarlo:

The Heartbreaks – Delay, Delay