Archivi mensili: novembre 2012
Il nuovo album di Bruce Springsteen, The Boss, parla chiaro già dal titolo: Wrecking Ball. Una palla da demolizione che scuoterà l’America: dopo la trionfante rielezione di Barack Obama a Presidente, caldeggiata e promossa anche da Bruce Springsteen in persona, ha il compito di confermare il suo status di Paese leader nel Mondo.
Springsteen torna così a suonare con la E Street Band e appeso per adesso al chiodo l’impegno politico si prepara ad un nuovo tour, di continente in continente, passando per l’Europa e per l’Italia.
E cominciamo subito col vedere dove passerà il buon vecchio Bruce: si comincia il 30 maggio 2013 da Napoli, in Piazza Plebiscito, per risalire poi a Padova, dove The Boss sarà l’1 giugno allo Stadio Euganeo, finendo poi a San Siro a Milano il 3 giugno.
Springsteen lascerà poi l’Italia per deliziare altre orecchie, ma tornerà nella Capitale, dove l’11 luglio, per il Rock in Roma arriverà all’Ippodromo di Capannelle. Wrecking Ball è una vera cannonata, non solo a livello musicale, ma anche (come già detto) dal titolo e da quello che Springsteen ha detto: “E’ il mio album più arrabbiato da anni a questa parte”.
Un grido di rivolta contro le persone che come pecore accettano la situazione, contro le banche e l’alta finanza che continua a spingere sul bordo del baratro interi sistemi economici, il disco si è trasformato strada facendo, lasciando indietro l’anima folk inizialmente adottata per far spazio ad arrangiamenti con strumenti elettronici e con tanto di influenze di rock urbano e hip hop.
Arriva l’ultimo disco di Francesco Guccini e non l’ultimo solo in senso cronologico d’uscita, bensì l’ultimo della sua carriera. Infatti, ad annunciarlo è lo stesso artista alla presentazione del suo ultimo album, avvenuta qualche giorno fa a Milano.
Il musicista ha anche dichiarato che scrivere canzoni, a una certa età, diventa più difficile, perché mancano soprattutto la voglia e l’entusiasmo.
Quest’ultimo lavoro, intitolato L’Ultima Thule è composto da otto tracce ed è stato pubblicato dall’etichetta Emi Music. Disponibile in cd, digitale e vinile da ieri, 29 Novembre. In queste otto canzoni ripercorriamo un po’ la vita del cantautore, aprendo un immaginario diario di aneddoti che rivivono fra le parole cantate sulla sua Bologna, le notti brave, la musica cantata dando fastidio ai vicini, i nonni e il mulino di Pavana.
Il disco, infatti, è stato registrato nella terra di famiglia, dove Guccini ha trascorso la sua infanzia e parte dell’adolescenza e dove ora vive dai primi anni del duemila.
L’Ultima Thule, quindi, raccoglie probabilmente l’ultima avventura di uno fra i più importanti e noti cantautori del panorama musicale italiano, che debuttò nel lontano 1967 percorrendo una carriera lunga più di quarant’anni, con oltre venti album pubblicati.
Oltre ad essere ritenuti unanime uno degli esponenti di spicco della scuola dei cantautori italiani, Francesco Guccini è stato anche un autore di fumetti, e sporadicamente un attore.
Nella sua carriera ha anche prestato il suo talento alla musica per il cinema: le colonne sonore; e per coloro che non lo sanno, ha anche scritto numerosi brani per altri autori suoi amici.
Tracklist:
1. L’ultima volta
2. Canzone di notte n°4
3. Su in collina
4. Quel giorno d’aprile
5. Il testamento di un pagliaccio
6. Notti
7. Gli artisti
8. L’Ultima Thule
Dopo sette stagioni di onorata carriera e un interminabile numero di omicidi, l’ematologo/serial Killer più famoso della televisione si appresta a diventare uno dei personaggi dell’universo Marvel. Infatti, l’antieroe Dexter Morgan sarà protagonista di una mini-serie a fumetti che dovrebbe uscire negli Stati Uniti il prossimo febbraio.
Al progetto, che prevede solo cinque numeri, ha collaborato anche il creatore della serie tv, lo scrittore Jeff Lindsay. Così dopo aver conquistato le platee di milioni di telespettatori di tutto il mondo ora sarà la volta del mondo dei fumetti, dopo aver già conquistato quello del lettori con il romanzo crime, La mano sinistra di Dio. Vi ricordiamo che sullo schermo il serial-killer possiede le fattezze dell’attore Michael C. Hall, ormai incatenato a questo ruolo, viene da chiedersi se quando la serie chiuderà i battenti, l’attore sarà in grado di scrollarsi di dosso questo enorme personaggio e riuscire ad andare avanti con la sua carriera?
Maggiori dettagli sull’albo a fumetti sono le indiscrezioni finora trapelate, in altre parole che l’uscita di Febbraio dovrebbe essere rispettata e che la storia rimarrà fedele alla trama televisiva.
Il fumetto seguirà quindi la scia sanguinosa di Dexter per le strade di Miami, introducendo anche nuovi personaggi.
L’operazione ricorda un po’ quella di The Walkind Dead, solo che in questo caso si sta compiendo al contrario. Alla trasposizione ha collaborato oltre a Jeff Lindsay anche lo scrittore Dalibor Talajic.
In Italia lo show è arrivato all’episodio tre della settima stagione, mentre negli USA è ormai arrivata all’episodio nove, quindi mancano circa tre episodi alla conclusione dello show.
Al mattino tutti noi abbiamo dei piccoli rituali che ci aiutano ad alzarci con il piede giusto. Radiosveglia puntata sulla nostra emittente preferita, finestra con le tapparelle socchiuse per farci baciare dalla luce del sole, macchinetta del caffè automatica con orario preimpostato, scendere dal letto sempre da uno stesso lato e molto altro ancora.
Fra questi rituali, che si decida di scendere da un lato o dall’altro del nostro giaciglio notturno, rientra sempre e costantemente l’oroscopo: quell’alleato “strategico” capace di darci il consiglio giusto e la previsione che ci mancava, per affrontare la giornata con una marcia in più e magari con la consapevolezza di cosa potrebbe accaderci.
Problemi a lavoro con il capo, possibile discussione che il/la nostro/a partner, guai in vista sul fronte finanziario: tutti campanelli d’allarme che ci possono aiutare a prendere con un grado più elevato di prudenza, le diverse fasi della nostra giornata.
Ma cosa accade se ci sfugge qualcosa? O se non abbiamo il tempo di ascoltare l’oroscopo mattutino? Proprio per evitare che ciò accada, da Telecom Italia arriva l’esclusivo oroscopo Astro Tech: una versione 2.0 del mondo degli astri, da consultare in qualunque momento con un clic.
E si, avete capito bene. Ma come è possibile? L’arma vincente di Astro Tech è la sua veste social. Infatti l’oroscopo viene pubblicato tutte le settimane (di mercoledì) sulla pagina Facebook di Telecom Italia Group: basterà accedere al link http://www.facebook.com/TelecomItalia e spostarsi sul TAB http://bit.ly/AstroTech.
Un vero e proprio oroscopo hi-tech quello di Astro Tech, che si prefigge di accompagnarci in ogni momento della nostra giornata, grazie ai consigli Tommaso Labranca.
Ma le stelle, si sa, sono anche vanitose ed hanno una certa inclinazione alla creatività e alla bellezza. Ecco perché Astro Tech si accompagna alle divertenti vignette di Joshua Held, che troveremo sempre sulla Pagina Facebook di Telecom Italia; ma che avranno anche un canale dedicato su Pinterest all’indirizzo: http://pinterest.com/
Proviamo a fare un esempio: oggi è giovedì, siamo su Facebook e arriva la telefonata del nostro direttore. Panico! Come dobbiamo comportarci? Semplice, basta un clic sul TAB ed ecco apparire i consigli delle stelle.
Chi vi scrive è un gemelli e Astro Tech, per questa settimana, recita (in un passaggio della previsione) così: “Intanto i vostri concorrenti vi fanno le scarpe approfittando del Sole che vi guarda storto. Ultima settimana di pigrizia, poi il lavoro tornerà sotto i riflettori”.
Quindi sveglia! Il capo chiama e se non saremo celeri qualche collega ne approfitterà per farci le scarpe. Uff… meno male, pericolo sventato.
E voi? Che aspettate ad ascoltare i consigli di Tommaso Labranca? Come dite? Volete conoscere meglio il vostro astrologo di fiducia? Beh, basta chiedere 😉 Eccovi un video con cui potrete fare un po’ di conoscenza.
Viral video by ebuzzing
Non resta che salutarvi e dirvi: “che le stelle vi sorridano”!
Articolo sponsorizzato
Ha accompagnato l’infanzia di quattro generazioni diverse, restando nella memoria di tutti noi, in maniera indelebile. Dal 1982, anno della prima volta per “Bambino Pinocchio”, ha inciso qualcosa come 700 brani vendendo sei milioni di dischi. Trent’anni di canzoni per i più piccoli, questa è Cristina D’Avena.
Numeri da capogiro, degni di un grande autore del panorama musicale italiano. E come è giusto che sia, per celebrare la sua carriera, arriva una grande e immensa raccolta, intitolata “30 e poi…Parte prima”. Un cofanetto di ben 4 cd e 70 sigle originali.
Per molti, Cristina deve il suo successo a Kiss me Licia. Infatti, prima di allora era conosciuta solo per la sua voce e in pochi ne avevano fissi nella mente volto e fisionomia. Dopo la sua apparizione nella serie, la gente ha iniziato a riconoscere il suo volto. Da allora è stato un inarrestabile susseguirsi di successi, ma nel cuore di lei rimane sempre il brano cantato nella serie il suo preferito, anche per ciò che ha rappresentato.
Di appendere il microfono al chiodo non se ne parla, considerato che come sempre cerca un modo per reinventarsi, come sta facendo nell’ultimo periodo con i concerti con un altro storico gruppo, i Gem Boy, o con il programma tv Karaoke Super Show.
Nel cofanetto, prodotto da Gruppo Mediaset, Rti Music Devision e distribuito da Sony Music, sono comprese molte sorprese; ad esempio tre brani singoli inediti, uno del 95’, uno del 99’ e l’ultimo del 2009. A ciò si aggiunge un’interpretazione del classico di Natale “O Holy Night” pubblicato per la prima volta in questa edizione e un megamix dei successi degli anni Ottanta.
Ma la vera chicca è un omaggio a Lucio Dalla, il grande autore italiano scomparso di recente. E’ infatti dedicata a lui la cover de “L’anno che verrà” che chiude la raccolta, qualcosa di fortemente voluto da Cristina D’Avena, molto affezionata a Dalla e alla sua musica; un’artista che manca molto a tutti gli artisti italiani, fonte d’ispirazione per tutti, e a tutta la musica italiana.
C’è da dire che questa non è un’operazione nostalgica, ma un nuovo inizio. Infatti il cofanetto è solo il primo passo di un anno di festeggiamenti: il progetto proseguirà per tutto il 2013 con una serie di iniziative a tema e si concluderà in autunno con l’uscita di “30 e poi…parte seconda”, in fondo sono solo i suoi primi trent’anni di carriera. L’artista sembra propri inarrestabile ed è anche intenzionata a riprendere il lavoro sui telefilm per bambini, lanciando per l’occasione dell’uscita dell’album un appello ai produttori, sostenendo convintamente che in televisione c’è ancora spazio per i bambini.
Il cofanetto debutta giusto in tempo per il periodo natalizio e siamo certi che rappresenterà una valida alternativa o opzione per i regali di Natale.
Il presagio di quanto stava per accadere a Londra, la sera del 10 dicembre del 2007, si era materializzato a inizio settembre, con la messa in vendita dei biglietti, quando il server che ospitava la prevendita online dei 18.000 posti disponibili era letteralmente collassato sotto la valanga delle oltre venti milioni di prenotazioni giunte in meno di 24 ore, finendo nel libro del Guinness Dei Primati per la Maggiore richiesta di biglietti nella Storia della Musica per una singola esibizione.
E dire che gli inconvenienti non erano neppure mancati, visto che a fine ottobre Jimmy Page aveva pensato bene di procurarsi una frattura al mignolo della mano sinistra cadendo nel suo giardino, facendo inevitabilmente slittare l’evento di due settimane rispetto all’iniziale programmazione del 26 novembre.
La cosa aveva oltretutto generato non poche preoccupazioni: il timore era che la convalescenza avrebbe pregiudicato non poco le capacità esecutive di Page, già comprensibilmente ridotte per via dell’età; a questo si aggiungevano i fantasmi delle apparizioni-lampo al Live Aid (1985) e al quarantennale della Atlantic Records (1988) in cui Page, Plant e Jones si erano mostrati imbolsiti e assenti, neanche l’ombra delle divinità pagane che tra gli anni ’60 e ’70 erano capaci di devastare arene e stadi con concerti distruttivi da quattro-cinque ore filate, attirando folle oceaniche come mai s’era visto prima di allora.
Basta l’accecante lampo di Good Times Bad Times, seguito dall’assordante boato dei diciottomila di Londra, per fugare ogni dubbio e riportare il calendario indietro di decenni: il ruggito dei tre strumenti all’unisono è di quelli che fanno gelare il sangue nelle vene, e lo scalpitare del resto del brano non è che la promessa di tutto ciò che ancora ha da venire. Allenta un po’ la presa Ramble On, alla prima esecuzione integrale dal vivo, che dilata gli spazi con i suoi irresistibili stop and go, in perenne bilico tra il soffuso e il graffiante, mentre la morsa torna a stringersi serratissima con la successiva Black Dog, granitica e veloce nella migliore tradizione live del brano.
Nel corso dei primi tre pezzi non può fare a meno di rilevarsi qualche rigidità che, se da un lato trovano ragione nella necessità di scrollarsi di dosso ben 30 anni di ruggine, dall’altro fondano essenzialmente su questioni tecniche: gli innumerevoli bootlegs circolanti dal 2007 hanno evidenziato come proprio l’esecuzione dei primi tre brani sia stata funestata dai fischi degli amplificatori – fortunatamente rimossi in post-produzione – con l’ovvio bagaglio di nervosismo che questo tipo di inconveniente porta con sé.
Nondimeno, uno dei principali punti di forza dell’edizione in commercio è proprio la sua assoluta aderenza alla prestazione di quella sera: ancora il confronto tra la versione ufficiale e i bootlegs dell’esibizione permette di evidenziare come gli interventi di studio siano stati veramente ridottissimi, quasi inesistenti.
Per dirla con le parole di Jimmy Page, “se vi dico che siamo intervenuti solamente per una manciata di correzioni, quello a cui faccio riferimento è seriamente nulla rispetto a quello che si fa in genere, e che altri avrebbero fatto. Il concerto è stato fantastico di suo, c’era veramente ben poco da correggere”: i fastidiosi fischi degli amplificatori nei primi tre pezzi, appunto, e alcune incertezze nella voce di Robert Plant sugli acuti nel finale di Kashmir, peraltro sportivamente ammesse dal diretto interessato, perché “a quel punto un po’ ero a corto di vapore, e in quel finale ci sono un sacco di note molto lunghe da sostenere”.
Excusatio non petita, Robert, vai tranquillo. Anche perché siamo di nuovo sull’impercettibile: confrontare per credere.
Non è necessario alcuno sforzo, infatti, per rendersi conto di come i difetti fisiologici di qualsiasi live – normalmente rettificati prima di qualsiasi pubblicazione – in questo caso siano stati invece lasciati tutti al loro posto: tanto per fare degli esempi, si vedano le approssimazioni vocali di Plant nella seconda strofa di Good Times Bad Times o quelle chitarristiche di Page, che per esempio in Black Dog ha un attimo di sbandamento in uno dei cambi e arranca un po’ durante le divagazioni soliste.
Nulla di male, ovviamente, ma si tratta di dettagli che la dicono lunga sulla genuinità dell’insieme e non fanno altro che aumentare l’aura di questa grandiosa esibizione: essì, perché se davvero questo è il livello a cui si trovano i Led Zeppelin alla bella età di 65 anni, senza alcun bisogno di additivi o lifting di sorta, tutti i loro coevi ed epigoni là fuori possono andare bellamente a nascondersi dalla vergogna.
L’accortezza di abbassare la tonalità dei brani, al fine di compensare la riduzione dell’estensione vocale di Plant occorsa negli anni, non influisce peraltro sulla loro riuscita complessiva: i poveri di spirito che ancora si ostinano a fare dell’ironia sul punto farebbero meglio a ricordarsi che per qualsiasi altra voce (che non sia quella di Plant nei primi anni ’70) il repertorio dei Led Zeppelin rimane semplicemente incantabile.
Le rigidità si dissolvono d’incanto con la polverosa In My Time Of Dying, proposta in una versione sudata e lasciva, nella migliore tradizione blues: durante i celebri call and response del brano Page e Plant iniziano a scambiarsi sguardi di intesa sempre più intensi e sorrisi di compiacimento sempre meno velati, e Jones e Bonham non mancano di partecipare: l’antica alchimia torna a vivere, e non c’è che da inebriarsene fino allo stordimento. In My Time Of Dying è uno dei vertici dell’intera esibizione: mentre la sezione ritmica scalpita in seno alle ondate di voce e chitarra condotte all’unisono, Plant si scrolla di dosso ogni inibizione e inizia a ruggire con la maestà di un leone, mentre Page si inventa sul momento due assoli di slide che manco la buonanima di Elmore James in giornata.
Da In My Time Of Dying in poi è tutto un impressionante crescendo che rende sempre più evidente – non senza un discreto sgomento da parte di chi assiste – come a trent’anni dallo scioglimento il devastante potenziale dello Zeppelin sia ancora perfettamente intatto. For Your Life, anche lei alla prima uscita dal vivo in assoluto, costituisce il secondo vertice della serata, cementando finalmente il suo status di gemma nascosta tra i solchi della discografia Zeppelin: per l’occasione Page sfoggia una sfavillante Gibson Black Beauty con 3 pickup – replica dell’esemplare che gli venne tristemente rubato nel 1970 – dispiegando una potenza di fuoco inaudita e dando vita a un muro di suono che sarebbe capace di fare un’impressione orrenda anche a un concerto degli AC/DC.
Il resto del repertorio si sussegue in modo rapido e incisivo, grazie alla consumata maestria dei quattro nell’imprimere all’insieme un ritmo da far tremare i polsi; di grandissimo valore è anche il veloce montaggio a opera del regista Dick Carruthers, tutto incentrato sulla dinamica del gruppo e proteso a valorizzarne la sbalorditiva energia live, senza particolari indugi sulla folla della O2 Arena o autocompiacimenti di sorta.
Trampled Underfoot, Nobody’s Fault But Mine e Misty Mountain Hop vedono così moltiplicare il loro incedere cadenzato e roccioso, tenendo orgogliosamente testa alle versioni del passato; analogo discorso vale per la sempreverde The Song Remains The Same, la quale, seppur lontana dai fasti raggiunti nell’omonimo film-concerto del 1976, rimane comunque quell’esplosione di luci e colori invece rimasta sottotraccia nella versione di studio del 1973.
Di grandissimo valore anche Dazed And Confused e No Quarter, tanto furiosa e allucinata la prima quanto nebulosa e sinistra la seconda. In Dazed And Confused Page sfodera il meglio del suo arsenale, trasfigurando il brano con ondate di puro stordimento alternato a parossismo attraverso il celeberrimo assolo di chitarra, suonato prima con l’archetto di violino e poi in modo convenzionale, abbandonandosi a una violentissima digressione solista che lo mostra in grandissimo spolvero; la splendida No Quarter è come al solito una vetrina per John Paul Jones, che così come in altri episodi del concerto si divide caricando di tinte tenebrose le volte del brano con le tastiere e mantenendo comunque salda l’ossatura ritmica dell’insieme attraverso il basso a pedali.
Meno brillante è invece Since I’ve Been Loving You, solitamente grande occasione per i laceranti fraseggi blues di Page che però stavolta stenta a trovare la chiave emotiva del pezzo, limitandosi a rendere in modo complessivo l’intensità del tema ma senza arrivare a toccarne il cuore, tenendosi lontano da quei vertici di straziante intensità di cui le sue improvvisazioni sono solitamente capaci.
L’esibizione raggiunge la sua apoteosi assoluta nella stupefacente Kashmir e le sue desertiche evocazioni di misteriose figure e di ancestrali preghiere: ritrovata appieno l’antica magia che li ha resi il più grande gruppo rock di tutti i tempi, nella notte di Londra i Led Zeppelin riescono nell’incredibile impresa di cristallizzare la canzone nella sua versione definitiva, superando ampiamente tutte quelle precedenti e consegnandola direttamente alla leggenda.
Plant scioglie i suoi epici versi con sacro furore, facendo ondeggiare il canto tra il recitativo e la ritualità tipica di certa musica araba, mentre Page lo sostiene in maniera eccelsa dispiegando ancora una volta un muro di suono di sovrumana potenza con la sua Gibson Les Paul accordata da sitar e sapientemente distorta con il fuzz; in tutto questo John Paul Jones è il grande trait d’union dell’insieme, grazie alla sua maestrìa nel profondersi contemporaneamente in tastiere d’archi, di fiati e basso a pedali e abilissimo a rincalzare e istoriare con motivi oscuri e sinistramente arabeggianti il sinuoso corpo della canzone; dal canto suo Bonham si impone con una sezione ritmica semplicemente pazzesca, ergendosi come un gigante alle spalle dei tre titani e collocandosi d’autorità in quello spazio da solista che era stato del padre, con un’aggressività e una gamma espressiva tali da levare il fiato.
La chiusura è naturalmente affidata a due pilastri assoluti come Whole Lotta Love e Rock And Roll. La prima non brilla per particolare incisività, pur evidenziando un’eccellente prestazione vocale di Plant, peraltro in evidente difficoltà rispetto all’oscenità del testo e indaffarato a smussarne dignitosamente le parti più estreme, evidentemente più congeniali al ventenne traboccante di testosterone che era quando lo concepì piuttosto che al distinto signore ultrasessantenne qual è attualmente.
Rock And Roll invece scalpita e scalcia come al solito, senza la minima esclusione di colpi, con Plant che raggiunge un livello di vocalità semplicemente spettacolare, al punto che chiudendo gli occhi sembra quasi di riaverlo davanti nei panni del dio greco dalla voce sovrumana che era tanti anni fa; non è da meno Bonham, che allestisce una chiusura pirotecnica degna del suo compianto genitore, con i tre compagni tutti rivolti verso di lui a osservarlo, benevoli e compiaciuti.
Il sorriso di pura felicità catturato sul volto di Jimmy Page alla fine di Rock And Roll è forse l’immagine migliore per riassumere quanto l’esibizione alla O2 Arena sia stata monumentale ed emotivamente coinvolgente – lo stesso sorriso che avevano stampato in volto i diciottomila presenti, storditi e confusi come se davvero quella notte nel cielo di Londra si fosse materializzata un’incursione aerea dello Zeppelin.
Ammesso che ce ne fosse bisogno, la reunion del 10 dicembre 2007 ha rappresentato l’ennesima conferma di quanto gli umori, i canoni e il suono dei Led Zeppelin abbiano stravolto e condizionato in profondità tutta la musica che dopo di loro sarebbe venuta, imprimendosi a fuoco nell’immaginario collettivo di almeno tre generazioni e continuando incredibilmente ad evolversi nonostante i 30 anni dallo scioglimento, come un’entità che vive di vita propria al di là dello spazio e del tempo.E non è un caso che siano in molti a giurare, tra coloro che quella sera di dicembre si trovavano alla O2 Arena, di aver visto le lancette dell’orologio fermarsi quando le dita del Grande Stregone hanno intessuto ancora una volta le magiche note di Stairway To Heaven.
Tracklist:
- Good Times Bad Times
- Ramble On – What Is And What Should Never Be
- Black Dog
- In My Time Of Dying
- For Your Life
- Trampled Underfoot
- Nobody’s Fault But Mine
- No Quarter
- Since I’ve Been Loving You
- Dazed And Confused
- Stairway To Heaven
- The Song Remains The Same
- Misty Mountain Hop
- Kashmir
- Whole Lotta Love
- Rock And Roll
Ormai è una moda sempre più diffusa tra le star di Hollywood. Ci è passata Scarlett Johansson e addirittura il premio Oscar Gwyneth Paltrow ne ha fatto una seconda carriera. Stiamo parlando della seconda vita in ambito musicale che sempre più attori, ma principalmente attrici cercano.
È ora il turno di Emmy Rossum, la bella interprete di The Day After Tomorrow e di Drangonball (in cui era Bulma), che vedrà in vendita il suo secondo album “Sentimental Journey”, che uscirà negli USA il prossimo 29 gennaio, in tempo per la trasmissione della prima puntata della nuova stagione di Shameless, serie tv che la vede protagonista.
Prodotta dalla Warner Bros Records, Emmy ha realizzato un album di covers di brani classici che spaziano tra gli anni ’20 e i ’60. L’album può essere ordinato già da ora su Amazon. Tra le tante ci sono veri e propri pezzi di repertorio mondiale, come “These Foolish Things (Remind Me Of You)” cantata in originale da Doris Day e incisa poi anche da Nat King Cole, Bing Crosby, Rod Stewart e più di recente da Michael Bublè.
La Rossum ha raccontato di essere cresciuta in mezzo a questi suoi, a queste note, e a queste voci storiche della musica; la sua casa era piena di Frank Sinatra, Sam Cooke e Judy Garland, e da qui è nata la sua passione e soprattutto l’idea di questo progetto in cui è riversata anche l’infanzia dell’attrice, che come ninna nanna ascoltava dalla voce della madre “Apple Blossom Time”.
Il progetto, però, si prefigge di essere anche una sorta di calendario musicale in cui ogni canzone ha il suo mood perfetto in un mese determinato, spiega Emmy: “Per alcune canzoni l’associazione è logica come “Summer Wind” per giugno, “Apple Blossom Time” per maggio, “Autumn Leaves” per ottobre, e “Pretty Paper” per dicembre”. Mentre per altri brani Emmy ha scelto un mese corrispondente a seconda delle sue sensazioni verso i brani, ad esempio “Nobody Knows You (When You’re Down and Out)” è stato associato a settembre per via della melodia malinconica che ricorda l’arrivo dell’autunno.
Emmy ha voluto riportare in auge il suono di un’Era, e soprattutto ha voluto ricreare l’imperfezione dei suoni registrati cantando in un microfono d’epoca e con la musica dell’orchestra dal vivo, proprio per restituire quella stessa ruvidezza del suono e della musica che lei tanto ama. Cercando di avere le influenze armoniche delle Andrew Sisters e lo swing di Sinatra, Emmy Rossum è riuscita ad incidere un disco che potesse essere anche del tutto personale.
L’album è stato registrato in tre giorni al Village di Los Angeles ed è stato prodotto da Stuart Brawley, amico di Emmy e produttore del suo primo album del 2007 “Inside Out”.
TRACKLIST:
“Sentimental Journey” (Les Brown, Ben Homer, Arthur Green)
“The Object Of My Affection” (Pinky Tomlin)
“I’m Looking Over A Four Leaf Clover “(Mort Dixon, Harry M. Woods)
“These Foolish Things (Remind Me Of You)” (Eric Maschwitz, Jack Strachey)
“(I’ll Be With You) In Apple Blossom Time” (Albert Von Tilzer, Neville Fleeson)
“Summer Wind” (Heinz Meier, Johnny Mercer)
“Many Tears Ago” (Winfield Scott)
“All I Do Is Dream Of You” (Nacio Herb Brown, Arthur Freed)
“Nobody Knows You When You’re Down And Out” (Jimmy Cox)
“Autumn Leaves” (Joseph Kosma, Jacques Prévert)
“Things” (Bobby Darin)
“Pretty Paper” (Willie Nelson)
Bonus Track:
Keep Young and Beautiful (Harry Warren, Al Dubin)
123...14Avanti Pagina 1 di 14